C’è uno strano MEME che spopola in giappone sul sito di video Nico Nico Douga (uno Youtube in ideogrammi) ed è quello che vede l’utilizzo di un gachimuchi (un uomo gay molto muscoloso) in bizzarri collage e fotomontaggi che ricordano quelli pop di Hamilton o più surreali come quelli dadaisti.
Bizzarro è una parola che balena spesso nella mente guardando i video, cercando -nello stupore- di riconoscere qualche segno, decifrarlo, coprenderlo.
Bizzarro è che in Giappone i video meme dei gachimuchi vedano come protagonista sempre e solo un attore porno americano dal nome di Billy Harrington, già protagonista di film per adulti sperimentali e alcuni prodotti addirirttura dal Dogma95 di Lars Von Trier come HotMen CoolBoyz.
Strano destino quindi quello di Billy Harrington, in patria uno tra le decine di figurine ipertrofiche della Colt Studio, e nel Sol Levante assurge addirittura a metonimia, diventa il gachimuchi per eccellenza tanto che -come in un assioma matematico- in rete invertendo i nomi i risultati non cambiano.
In GQ abbiamo spesso parlato di videogiochi quali Cho ANiki o Muscle March, i riferimenti all’arte della Grecia classica, del Rinascimento italiano, di quella cultura che è rivendicata dal movimento lgbt come prova storica di un esistenza sempre attiva e importante per la società, ma mixata alle tradizioni giapponesi degli Ukiyo e del Teatro Nō, in un camp che ricorda i fotomontaggi di Richard Hamilton (come il “Just What Is It Makes Today’s Homes So Different, So Appealing?”, 1956; o “Just what is it thath makes today’s home so different?”, 1992) in cui le immagini venivano ritagliate, incollate insieme in modo provocante; fino alle opere dadaiste di Hausmann, Heartfield e il “Grotesque” di Hannah Höch.
Come spiegava chiaramente la Sontag: “Il camp è bello perché è terribile!”, e non tradisce questa definizione il vedere ritagliate foto animate su schermate pixelate di videogame, basse definizioni di ritagli e nudi nascosti da primi piani di bambini. E’ camp. è terribile, è divertente. Perchè?
Con il passare degli anni, con l’evoluzione del linguaggio pubblicitario e televisivo, uno sdoganamento d’immagine omosessuale dapprima negli anni ’80 e poi vent’anni dopo con una consapevolezza politica e sociale, la rappresentazione dell’omoerotismo diviene esplicita e riconoscibile, a volte persino esagerata, passando dal kitsch (gusto per l’eccesso involontario), al camp (volontario), come distinugueva Susan Sontag nel suo “Notes on Camp”.
Quindi se in Occidente la rappresentazione esagerata del maschile e del virile risultava kitsch per la sua componente involontaria, creata da un testoterone troppo presente da non lasciar spazio a nessuna figura femminile -ricordo le riviste anni ’50 di culturismo o persino la pornografia utilizzata da Gilbert & George-, esistono esempi di videoarte, underground, fruibile gratuitamente, in cui la consapevolezza del maschile, del corpo ipertrofico, slitta nell’esagerazione, nell’artificio, nella teatralità, mettendo le virgolette alle parole “maschio”, “maschile” e “machismo”.
In questo modo, in questa consapevolezza, si detronizza la componente erotica per far spazio a quella comica: la maschera come caricatura. Billy Harrington diventa figurina, gif animata, a volte quadrettato per la scarsa definizione, o addirittura ricreato in computer graphic senza perdere il suo segno riconoscibile.
Richter parlava di: «accozzo esplosivo di prospettive e di campi visivi intersecantesi, […] una immagine visivamente e concettualmente fedele di quel caotico periodo di guerra e rivoluzione» (H.Richter, Dada – arte e anti-arte)
Segni appartenenti a mondi diversi, strappati, ritagliati e reincollati assieme senza un apparente filo logico, anzi, in una miscela anti-estetica che libera dai loro significati convenzionali, in un’iconosclastia visivamente sovversiva. In Giappone questo tipo di estetica a puzzle, la confusione dei segni ad uso di un caos comico ha un nome, il kuso-ge (letteralmente dal giapponese “gioco di merda”) riferendosi al suo tipico gusto parodistico e assurdo.
La fine di tutto questo forse è il non-sense, ma in questo modo, proprio come dettava il readymade dadaista, il segno tolto dal suo mondo riconducibile, si arricchisce del valore dissacrante e demistificatorio: proprio come i fotomontaggi di Heartfield, che con i suoi Hitler attaccava l’immaginario nazista fatto di perfezione ed efficienza, così tutta la riproduzione machista dei videogames e dei video Kuso-ge perde la sua potenza sessista per diventare omoertismo o semplicemente una burla.
GQ
2 thoughts on “Il Kuso-ge, tra gioco di merda e collage dadaista”