La percezione comune è che il mondo dell’intrattenimento dia ampio spazio alla rappresentazione della diversità. La realtà, invece, è che solo 5 dei 100 videogame più venduti nel 2017 hanno per protagonista un personaggio femminile.
Articolo pubblicato su La Stampa
In tempi di hashtag quali #MeToo, #TimesUp, #Quellavoltache e in giornate in cui unioni civili e matrimoni ugualitari sono finalmente al centro delle nostre conversazioni – digitali o reali- è sempre più facile inciampare in recriminazioni quali: “Ormai non c’è film che non abbia una donna forte e femminista”, “Il personaggio gay è ovunque” o il sempre verde “Sono obbligati a mettere quello nero o asiatico, altrimenti ti danno del razzista”.
Ma davvero le minoranze sono rappresentate in maniera così frequente? Anche questa volta i nostri pregiudizi alterano la percezione di ciò che realmente avviene, perché se ci prendessimo la briga di enumerare questi personaggi, scopriremmo che la realtà è più che desolante.
La dottoressa Stacy L. Smith, dell’University Southern California, questa briga se l’è presa e dal 2016 conduce un osservatorio sulla disparità di genere nell’intrattenimento, contando proprio quante donne, minoranze etniche o personaggi LGBT, sono stati mostrati nei prodotti televisivi e cinematografici. È arrivata così a evidenziare non una scarsa rappresentazione, bensì una vera e propria cancellazione o, come la definisce lei stessa, una “epidemia dell’invisibilità”.
Questi i risultati: le donne sono meno di un terzo, più precisamente mancano nel 68,6% dei film hollywoodiani, gli afroamericani mancano nell’86,4%, gli asiatici nel 94,3% e gli ispanici nel 96,9%. I disabili sono assenti nel 97,3% dell’intera produzione cinematografica americana.
E gli “onnipresenti” personaggi gay? In realtà di loro non c’è traccia nel 91% dei film.
Se anche nell’editoria e nella musica la sottorappresentazione delle donne e delle minoranze si aggira al 20%, allora nei videogiochi, mercato da sempre visto come maschile e maschilista, qual è la situazione?
Otteniamo risultati ancora più preoccupanti se incrociamo i dati dei videogame più venduti nel 2017 (abbiamo incrociato i dati di Steam, Gameindustry.biz, Vgchatz e la World Chart di VGSales). Dei primi cento, solo cinque hanno per protagonista una o più donne: Horizon Zero Dawn, NieR: Automata, Uncharted, l’eredità perduta, Hellblade, Senua’s Sacrifice e Hidden Agenda.
Cinque su cento
I videogiochi in cui è possibile scegliere la propria identità di genere, tra maschile e femminile, sono in media 20 (in alcune classifiche si arriva a 18). Le minoranze etniche e sessuali se la passano addirittura peggio. I videogiochi in cui il protagonista non è bianco, sono solo tre: il già citato Uncharted, l’eredità perduta, con una donna indiana e un’afroamericana; Assassin’s Creed, Origin, con un uomo africano e Prey con un personaggio asiatico. Per gay, lesbiche e persone transgender la questione è ancora più sconfortante: neppure un videogioco li annovera tra i protagonisti. Solo Mass Effect: Andromeda, della sempre attenta Bioware, permette di variare i subplot romantici con personaggi del proprio o dell’altro sesso. Altri NPC, “no playable character”, LGBT sono da ritrovare nel titolo giapponese Persona 5. Per i disabili potremmo poi annoverare Senua di Hellblade, Senua’s Sacrifice, con i suoi problemi psichici, ma di disabilità fisiche, nessuna testimonianza.
I dati riportati si riferiscono soltanto ai videogiochi più venduti e fortunatamente, valicato lo scoglio dei primi cento, la situazione migliora, sebbene di poco. Nello scorso anno abbiamo giocato a titoli importanti e che hanno raccontato la diversità in modo prezioso, come Life is Strange: before the storm, Virginia o What remains of Edith Finch, solo per citarne alcuni.
È forse da trovare in questo scarto l’unica via per cambiare le cose: acquistare e sostenere produzioni indipendenti i cui temi di genere o vicini alle minoranze etniche e culturali, vengano finalmente presi in considerazione con le giuste proporzioni e raccontati in maniera realistica.
I dati della sottorappresentazione nei media sono costanti dal 1945, il che significa che non c’è mai stata una fruizione egualitaria e che tutti noi siamo cresciuti con un intrattenimento maschilista, bianco ed eteronormativo. Ma perché è così importante una giusta rappresentazione? Nel romanzo L’occhio più azzurro del premio Nobel, Toni Morrison, la piccola protagonista cresce nella cultura bianca degli anni Cinquanta, sentendosi “brutta come le erbacce” e desiderando gli occhi azzurri di Shirley Temple. Quando non si è rappresentati, si finisce per sentirsi invisibili, muti, brutti come delle erbacce, ed è arrivato il momento di riappropriarsi dei giusti spazi, di quelli che ci appartengono di diritto, è arrivato il momento di sentirsi come giardini colorati in primavera.
Fonti:
Musica – Rolling Stone
Editoria – Affari Italiani