Dal 15 al 17 luglio avrà luogo la web-conference “Women in Industry and Innovation“, organizzata dall’UNIDO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo Industriale che mette in contatto le professioniste del tech.
Articolo pubblicato su La Stampa
Se state leggendo questo articolo sul vostro smartphone, sappiate che la sua grandezza e usabilità sono state pensate per una mano maschile. Il che dovrebbe far riflettere dato che, a quanto ci risulta da dati non troppo segreti, le donne sono la metà della popolazione e del target d’acquisto di cellulari.
In un momento storico in cui la tecnologia è parte importante e principale del nostro sviluppo economico e culturale, quanto possiamo permetterci ancora una visione prettamente maschile e maschilista?
Nel bellissimo libro Invisibili, Caroline Criado Perez racconta di uno studio del 2015 in cui sono state individuate le cinque parole più utilizzate con maggior frequenza nei documenti che prevedono una relazione persona-computer: user, partecipant, person, design e researcher. Benché tutte e cinque a prima vista siano parole neutre, quando è stato chiesto ai partecipanti dello studio di specificare il genere, quasi nella totalità dei casi è stato indicato come preponderante il maschile.
Non bisogna metter su uno studio di ricerca universitario per arrivare a tali risultati: basterà chiedere a un bambino di disegnare “uno scienziato” per notare che avremo poche probabilità di vedere il ritratto della Montalcini. Come può un bambino diventare o solo conoscere qualcosa che continua a non aver evidenza e a fuggire la rappresentazione?
Se tutto è pensato e costruito soltanto per maschi caucasici, abili ed eterosessuali, gli altri corpi, quello della donna in primis, continueranno a scomparire in quel silenzio colposo che è la rimozione. L’idea del maschile/inclusivo è il trucco più diabolico che sia stato inventato per mantenere il potere: perché con l’assenza e la negazione, non c’è né sviluppo né futuro, e questo nella tecnologia è un ossimoro inaffrontabile.
L’idea che la tecnologia e l’informatica, e generalmente il mondo della scienza, sia solo territorio degli uomini, esula dalla percezione e si fa dato pratico e preoccupante. Ma quanto è pesante il velo che maschera la presenza femminile nella tecnologia? Basti pensare che l’inventrice del primo algoritmo elaborato da una macchina è stata Ada Lovelace Byron (proprio la figlia di quel Lord Byron, poeta); o che il wireless dei nostri telefoni e computer è stata un’intuizione dell’attrice e scienziata Hedy Lamarr; continuando con Margaret Hamilton, direttrice della divisione ingegneristica del MIT, che ha curato il software di bordo dell’Apollo 11.
Su questa necessità di valorizzazione e connessione lavora l’UNIDO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo Industriale, che ha organizzato una web-conference per creare un dialogo trasversale tra le donne che attraverso la tecnologia e l’informaticastamnno spingendo per un’emancipazione nei loro paesi in via di sviluppo.
Women in Industry and Innovation si terrà sui canali digitali dell’UNIDO il 15, 16 e 17 luglio ed è un tavolo virtuale pensato per dar visibilità a chi si sta battendo e sta cambiando le cose nella dura realtà di un campo professionale, di paesi e di culture patriarcali ed escludenti.
Tra le ospiti, Sana Afouaiz, ventisei anni, dal Marocco: ha fondato una piattaforma in cui si connettono e dialogano quotidianamente oltre 10.000 imprenditrici del Medio Oriente e del Nord Africa, e ora è consulente sulle questioni di genere per le Nazioni Unite. Sarà presente anche Amel Saidane, membro del Centro Digitale di Eccellenza della Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite e Presidente di Tunisian Startups che sta dedicando il suo lavoro alla trasformazione digitale e all’agevolazione degli ecosistemi delle start up del nord Africa. “Ho studiato ingegneria elettrotecnica ad Hannover, in Germania, e c’erano solo tre donne nel mio corso di studi” racconta Saidane “Ho realizzato che in Germania, ma forse anche in Europa, è ancora difficile per le donne realizzarsi nel mondo della tecnologia. E questo è sbagliato, perché manca molto un punto di vista femminile nella digitalizzazione, che di fatto plasma tutto quello che viviamo oggi. Se pensi a Siri, ad Alexa e a tutti i robot con cui si può parlare, ti accorgi che sono stati programmati con una mentalità maschile. Abbiamo bisogno di diversità”.
Una diversità di rappresentazione legata al discorso di accessibilità al mondo tecnologico e soprattutto alle posizioni gerarchicamente rilevanti; e se questo è tema centrale nei paesi occidentali, in quelli orientali diventa ancora più urgente. Fino a quando le donne non saranno rappresentate nei processi decisionali, le decisioni le escluderanno sempre, il che si traduce in un 95% di investimenti di capitale su scala mondiale che sono fatti dagli uomini per gli uomini. In questo quadro appena accennato, possiamo però comprendere la necessità e l’importanza della web-conference dell’UNIDO, per creare unità, costruire una rete, proporre modelli e rappresentazioni che possano incrinare l’impostazione maschio-centrica culturale intesa come neutro.
Perché quello smartphone che ora abbiamo in mano, è stato sì pensato e testato per delle mani maschili, ma ricordiamoci che il suo microprocessore è stato inventato da una scienziata: Sophie Wilson. Anche per questo, come diceva Karen Spärck Jones, la prima a teorizzare il motore di ricerca su internet, “l’informatica è troppo importante per essere lasciata agli uomini”.