Ci sono tante cose che non ti dicono quando ti muore un genitore. Alcune le sai, alcune le intuisci, alcune le prendi in prestito dai film, ma di molte cose nessuno te ne parla mai. Pochi mesi fa è morta mia madre, dopo una lunga malattia e dopo una battaglia con i medici e gli ospedali per un fine vita dignitoso che abbiamo tristemente perso. Tutti.
Quando un genitore ti muore in ospedale non ti portano in un salottino beige in cui una dottoressa gentile usa parole accorte e ti allunga una scatola di kleenex, dicendoti di prenderti tutto il tempo che ti serve.
Nel via vai del corridoio dell’ospedale, tra le chiacchiere degli infermieri, le lamentele dei pazienti e le interruzioni dei parenti in visita, proprio lì in mezzo al cazzo, ti chiederanno se dovranno procedere a rianimarlo oppure no quando arriverà una crisi. A intubare oppure no. A tenere l’ossigeno e gli altri supporti.
No, non potranno aiutarlo ad andare via senza dolore, la legge non lo permette, anche se non c’è speranza, anche se non si riprenderà mai. Lo Stato decide per voi tutti.
Ma quel poco, quel margine di sopravvivenza, dovrai deciderlo tu per un’altra persona, per quella a cui probabilmente vuoi più bene o da più tempo.
Ti chiederanno anche se vuoi un prete per l’estrema unzione, anche se il tuo genitore è ancora vigile, anche se lo resterà per altre due settimane. E dovrai sorridere, mordendo una bestemmia, quando il prete ti dirà che ha visto persone resuscitare con l’acqua santa.
Ti chiederanno quasi ogni giorno se sei convinto di lasciarlo andare o di provare a tenerlo lì con voi. Ogni giorno dovrai confermarlo o negarlo, perché se non si ha un documento scritto la decisione sarà soltanto tua. E ti toglierà il sonno e la serenità prima, durante e dopo che sarà accaduto.
So che mamma avrebbe voluto così, ti ripeti, ma sei sicuro? Era seria? Scherzava? Una colonia di tarli nella testa.
Una cosa che non mi hanno mai detto prima che morisse un mio genitore è che avrei dovuto convincerli a lasciare disposizioni per il fine vita. Non a parole, non commenti sbiascicati dopo aver visto I ponti di Madison County. Bisogna costringerli -se non a fare un testamento biologico- almeno un documento olografo in cui vengano specificate tutte le azioni da intraprendere. Se poi abiti in Toscana, non hai scuse.
Se c’è di mezzo una malattia o se l’agonia è lunga, preparati a vivere nelle sale d’aspetto degli ospedali e delle cliniche per settimane se sei fortunato. Potrai entrare solo negli orari stabiliti alle visite e sì, dovrai dividere quei centoventi minuti (gli ultimi, ti ripeterai, saranno sempre gli ultimi) con tutti i parenti che verranno. Tu vorrai stare solo, cercando di non crollare e invece ti ritroverai a consolare la cugina Cinzia che ha visto l’ultima volta i tuoi genitori venti anni prima; ti dirà che lei non è andata a trovarli perché voleva ricordarseli belli, in salute e felici. E tu dovrai sforzarti di non spaccarle il naso con una testata.
Se avrai la sfortuna di vivere tutto questo in inverno, avrai freddo. Compra calzettoni e calzamaglie, portati cuscini per sederti comodo e indossa i guanti. Ah, imparerai ad apprezzare anche il tè al limone della macchinetta a gettoni. E da quel giorno il limone chimico liofilizzato nel bicchiere di plastica ti ricorderà quella sala d’aspetto.
Prima della morte, tra un orario di visita e l’altro, dovrai andare a comprare un abito per il funerale, non per te, bensì quello che indosserà il tuo genitore nella bara.
Io sono andato con mia sorella a comprare un tailleur a mamma.
Sceglierai davvero l’abito più bello, quello che avrebbe preferito tenendo all’oscuro le commesse, perché così è più facile. Piangerai nascondendoti nei camerini perché quel vestito gli sarebbe piaciuto molto. Piangerai perché ti maledirai di non averglielo comprato quando stava bene. Non baderai a spese. Comprerai anche quella spilla che ti ricorda Sarah Jessica Parker che tanto le piaceva, e riderai quando la commessa ti dirà che è un’ottima idea perché potrà sfruttarlo per molto tempo. Oh, non sa quanto, signora mia!
E poi riderai anche nello scegliere un bel tacco dodici, perché così se ne doveva andare mamma, come le piaceva lasciare le feste.
Io lo shopping a mia mamma per il suo funerale non avrei mai voluto farlo.
Dovrai scegliere la bara, ma questa è forse la cosa che è più semplice da figurarsi, succede spesso anche nei film. Dovrai scegliere il tipo di legno e scoprirai che alla fine quello che costa meno va benissimo, -chissenefrega del noce che pare la credenza di nonna-.
Va benissimo anche solo un fregio, un’incisione, un intaglio nel legno; evita i crocifissi in ottone sul coperchio, è tua mamma o tuo papà non Nosferatu. Preparati a visionare interi cataloghi di bare e di fodere colorate, di bassorilievi di madonne con putti tondi, di orribili ornamenti di Padri Pii in acciaio, ottone, argento, e alla fine decidi per quello che costa meno, perché -gesùsantissimo- è una cassa di legno e la vedrete per due ore e per di più coperta di fiori.
Se non è stata una morte improvvisa, dovrai decidere se esserci all’ultimo respiro. Dovrai decidere se rimanere lì tutte le notti, fare turni, dormire sulle panche delle sale d’aspetto, sugli strapuntini delle vetrate, in una roulette russa con gli altri familiari a chissà chi sarà presente in quel momento.
Oppure potrai seguire i consigli delle infermiere che ti diranno ogni sera: vada a casa, se succede qualcosa la chiameremo noi. In realtà stanno chiedendoti se vuoi essere lì in quel momento. Ce la fai a reggere? Te lo sei mai chiesto? Io c’ero. È la decisione migliore che abbia mai preso perché mi consola sapere che non era sola, perché mi solleva un po’ dal senso di colpa di essere andato via da lei tante volte. Ma è anche un dolore che mi è rimasto nel cuore e rimarrà lì per sempre.
Prendi la tua decisione. Vanno bene entrambe, nessuno ti giudicherà, soprattutto i tuoi genitori. Te lo giuro.
Se hai possibilità, se hai tenacia nella guerra coi medici, cercate di trasferirvi in un hospice. Sono luoghi preziosi, prova che la sanità può aver compassione per la comunità. Solo quando ci si ritrova ospiti dentro una struttura di cure palliative, scopri che il mondo può essere un posto buono, comprensivo, in cui il dolore può essere se non dissipato, almeno alleviato. Se il mio cuore non si è crepato in quel momento è perché ho potuto abbracciare un gattino nell’attesa che arrivassero gli altri.
Molti hospice adottano la pet terapy e quindi i corridoi scorrazzano cuccioli di cani e di gatti. Informati su quelli della tua zona o in quella dei tuoi genitori.
Non so se avete notato che durante i funerali la famiglia del defunto ha quasi sempre una dignitosa calma, un’imperturbabile serenità fatta di sorrisi di accoglienza e consolazione. Ai funerali i parenti stretti sono chiamati a consolare sconosciuti distrutti. Se avete optato per il rito cattolico c’è una formula che il prete può enunciare alla fine della funzione: “i parenti del defunto dispensano i presenti dalle condoglianze”, il che vuol dire che i parenti non hanno nessuna voglia di salutare e baciare file lunghissime di persone.
Forse non lo sapevi.
Be’ anche se non lo sapevi conta poco, perché la gente si metterà comunque in fila e tu il giorno dopo avrai come minimo un raffreddore per aver abbracciato e baciato un centinaio di persone.
Ma tornando a quella serafica calma: è vero, a sostenerti in quel momento è il sollievo della tensione sciolta, del sospiro profondo dopo la sofferenza dei giorni precedenti.
Poi crollerai. Dopo, molto dopo.
Due o tre mesi dopo. Perché è quando il pensiero ti prende alla sprovvista nella tua routine che senti tutto l’ingombro di un dolore che non ha collocazione.
Ti chiederanno se al funerale vuoi fare un discorso alla fine della funzione. Puoi decidere tu, nessuno si aspetta niente. Io non ce l’ho fatta e sono lo scrittore della famiglia. I miei fratelli hanno detto e fatto tutto quello che avrei voluto dire e fare. Abbiamo cantato Loredana Berté in chiesa e abbiamo riso guardando il prete trasalire alla strofa “crocifissi al muro”.
Non dire alle persone di non venire al funerale. Non dire che sei forte, che non stai poi così male, che davvero non prenderti questo fastidio, faremo una cosa veloce e ce ne andremo a casa che siamo distrutti capirai dopo gli ultimi giorni vogliamo solo riposare. Non tenere lontane le persone che vogliono starti accanto. Devono essere lì, anche se pensi che non sia necessario. Credimi. Lasciali stare accanto a te. Il lutto è di chi resta, non di chi è andato via.
Se abiti al Sud dovrai scrivere il testo per il manifesto di invito al lutto. Fatti dare il numero di caratteri e specifica le minuscole e le maiuscole. Controlla le date e gli orari. Non impuntarti sulle illustrazioni dei santi agli angoli del manifesto, sono totalmente random. Non puoi avere controllo neppure sui font, hai altro a cui pensare ora.
Non ti dicono mai che devi avere una bella foto per la lapide. Non ti servirà subito, solo qualche mese dopo, ma tienila sottomano. In questi anni di foto digitali non sarà facile trovarne una adeguata per la stampa 15×11. Quelle di Instagram e Facebook non vanno bene. No, neppure se fai upscaling con l’AI di Photoshop. Ti chiederanno una foto stampata da scansionare, poi la ritaglieranno per mettere uno sfondo neutro, e ti avverto, i capelli saranno scontornati da un marmista, probabilmente con un programma freeware scaricato su un vecchio PC di dieci anni fa. Proverai a spiegarglielo ma alla fine quella foto ti andrà bene anche così, in fondo non è una pagina Wikipedia.
Ti dico queste cose perché avrei voluto che qualcuno le dicesse a me, che mi preparasse. Perché se la vita è giusta, sono i figli a seppellire i genitori e questo ci porta all’ultima cosa forse la più importante.
Quando muore un genitore scoprirai due cose: quanto amore e vicinanza provi per i tuoi fratelli e sorelle se hai la fortuna di averne. In quei momenti capirai che avete e avrete un destino cucito a doppio filo, sia che siate in buoni o pessimi rapporti. Ci sarete voi e poi tutto il mondo. E questo è solo l’ennesimo momento che dovrete condividere assieme. Anche se non volete dirvelo o non ve lo siete mai detto, vi vorrete più bene ugualmente, perché la perdita illumina sempre le presenze rimaste.
E l’ultima forse più importante: quella corsa alla ricerca di approvazione o soltanto quella sana voglia di renderli orgogliosi si placherà, per far posto al bisogno -molto più impellente- di dare un valore a quel tempo che improvvisamente smette di diventare indefinito, per rivelarsi un numero dato, esatto e finito di respiri.
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